Articolo 1102 del codice civile

Nella sentenza del 4 maggio 2015, n. 8857, la Cassazione ha chiarito in cosa consiste il limite – posto dall’articolo 1102 del codice civile – al diritto dei singoli condòmini ad usare il bene comune, il quale così dispone:

Uso della cosa comune.

Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

L’art.1102 del codice civle limita infatti tale diritto alla condizione che l’uso fatto dal singolo condòmino non deve pregiudicare l’uso paritetico del medesimo bene in capo agli altri condòmini.

Secondo la Suprema Corte, va sì tutelato l’uso paritetico della cosa comune, ma esso deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare.

Ecco i passi salienti di detta sentenza:

Il motivo è infondato perché parte da un assunto errato, vale a dire che l’uso più intenso della cosa comune non possa estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della medesima: ciò in quanto l’utilizzo di cui si parla va rapportato alla funzione della res communis così che se esso non incide sulla sostanziale fruibilità di essa da parte degli altri condomini, deve dirsi pienamente legittimo: ragionando altrimenti si perverrebbe a legittimare azioni sostanzialmente emulative – perché prive di apprezzabile interesse – da parte del singolo condomino nei confronti della comunità condominiale.

Appare allora condividibile l’approdo interpretativo della Corte del merito laddove pose a parametro della compatibilità della quale si discute, la decisione unanime (dei presenti all’assemblea) di consentire la prosecuzione dell’utilizzo della cosa comune: tale interpretazione infatti metteva in rilievo la mancanza di lesività della condotta censurata, traendo tale convincimento sia dall’obiettiva minima incidenza materiale dell’uso esclusivo sia dall’assenza di un manifestato interesse contrario, ponendosi così in linea di continuità con l’indirizzo interpretativo di legittimità che rinviene nella valutazione di fatto (incensurabile in quanto tale in Cassazione) della coesistenza dei due usi (quello più intenso del condomino e quello generico della comunità condominiale) un sicuro parametro di valutazione della legittimità dell’uso del singolo sul bene condominiale (cfr. Cass. sez. II n. 4617/2007 “L’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare”).


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